lunedì 17 agosto 2015

Storie di stelle

Piacere. Sono 7H2AC, per gli amici "acc".
Chi sono i miei amici?
Sono:
- 13F2X, anche detto "ics"
- 3HBU, anche detto "zio bu"
- 4547GNU, anche detta  "gnu".

I soprannomi sono fondamentali perché solo gli scienziati possono chiamare noi stelle con numeri e lettere. E se li ricordano pure.

Noi stelle no, ci diamo nomi corti e facili da ricordare.

C'è un altro aspetto importante: noi stelle siamo distanti una dall'altra,  e intanto che ci diciamo tutto il nome e la voce ci arriva, può passare anche qualche anno luce.

Vabbeh non entro nei particolari scientifici di noi stelle.

Importante è che sappiate che io (Acc), Ics, Zio Bu e Gnu, siamo la costellazione più simpatica del nostro universo.

Quando facciamo le battute e ci raccontiamo le barzellette dobbiamo stare attenti perché, ogni tanto, per il troppo ridere, qualche stella perde l'equilibrio e cade.
Le stelle cadenti sono quelle che perdono l'equilibrio nello spazio e rotolano giù da qualche parte.

Non chiedetemi dove si trova questo posto chiamato "da qualche parte".
Gli uomini le vedono cadere ma mai fino alla terra.
Le stelle cadenti non dicono dove vanno, e noi stelle non ci sporgiamo o sbilanciamo troppo perché il rischio è che cadiamo pure noi "da qualche parte".

Una battuta da morire dal ridere?
Sai qual è il colmo per una stella?
Avere problemi di spazio.
Muahhhhh ahhhhh

Eccola, è appena caduta una stella. Accidenti.
Scusaaaaaa.
Mi sa che non sente più.

La notte di San Lorenzo è famosa tra gli uomini per le tante stelle che cadono.
In realtà, in cielo e ogni anno, viene fatto un concorso di barzellette.
Le risate sono tante che anche molte stelle... cadono.

Comunque noi quattro siamo terribili.
Peccato non essere vicini.

Una volta Zio Bu (non è veramente nostro zio ma è la stella più vecchia tra noi) ha pensato:"se ci riesco salto sul primo satellite che gira e vedo di raggiungere Acc".

Ci provò ma era il satellite sbagliato.
È finito da qualche parte nell'universo dove vicino c'era un pianeta con un grande anello attorno.
Lo chiamano Saturno mi pare. E lì fa un freddo terribile.
Poi è risaltato su un altro satellite e ora dice che è vicino ad una stella dove invece fa un caldo insopportabile. La chiamano Sole mi pare.

Ma la sai la differenza tra una stella ed un pianeta?
Le stelle fanno luce.
I pianeti sono illuminati dalla luce delle stelle.

Fatto sta che ogni volta che ora dobbiamo parlarci, non si sa mai dove girarci perché ogni tanto è in giro per l'universo.

Ics e Gnu invece sono pigri. Non fanno mai niente se non parlare o luccicare.  Io sospetto che siano un pò innamorati.
Quando non ci scambiamo battute e barzellette, parlano tra loro in codice strano: si illuminano,  a volte sembrano arrossire, a volte si spengono e di loro non si sa nulla per qualche tempo.

Io sono la stella più chiacchierona dell'universo;  so tutto di tutti e quando scopro una cosa assurda dico sempre "acc".

Diciamola tutta, sono una stella un pò pettegola.
Se vuoi sapere qualsiasi cosa che accade nell'universo puoi scommettere che io la so.

Tipo: qualche tempo fa gli umani hanno spedito una specie di robot su Marte.
Peccato che il robot mentre girava è finito dove non arrivava la luce della stella Sole, non gli si caricavano più le batterie e... che ridere, è rimasto fermo un sacco di mesi, aspettando nuovamente che la luce del sole tornasse a caricargli le batterie.
Povero robottino. Sai che noia.

Insomma io so tutto di tutto.

Ora che sapete tutto di noi, chiudo la storia con la battuta che ha vinto l'ultimo concorso di san Lorenzo:
Il colmo per due stelle? All'una (luna) essere sole.

Fine

domenica 16 agosto 2015

Uanna Bi

Una mattina, alzando gli occhi al cielo, si sono viste in lontananza due nuvolette buffe.

Una, quella a destra, aveva la forma di una grande caramella alla menta.
Ma appena il vento si alzava la nuovola cambiava forma, e così la si poteva immaginare come una lente di un occhiale, poi una scarpa con il tacco alto alto, poi un occhio, poi una conchiglia,  poi...

Quella a sinistra era più grigia, più buffa. Non era facile darle una forma, e poi era goffa anche nella trasformazione.
Nonostante fossero due nuvolette nello stesso cielo e a  poca distanza l'una dall'altra, non si assomigliavano per nulla.

Quella a destra se vedeva qualcosa che le piaceva sembrare, faceva ogni genere di sforzo per diventare quella forma.
Sfruttava il vento come se fosse uno scultore: il vento soffiava e lei muovendosi si lasciava modellare nelle forme, sembianze e ciò che più desiderava.

La nuvoletta di sinistra invece se anche vedeva una cosa a cui le piaceva assomigliare, appena provava a diventare quella forma, si perdeva d'animo e iniziava a ripetersi che non ci sarebbe riuscita.
E così non ci riusciva.

Il vento, il sole e le altre nuvole avevano prima iniziato a prendersi gioco di lei, poi avevano iniziato ad ignorarla.

La nuvoletta di destra si chiamava "Uanna".
La nuvoletta di sinistra si chiamava "Bi".

La piccola Bi ormai faceva di tutto per non farsi più notare e quando le capitava di pensare di riprovare a prendere una forma che voleva, subito le venivano i dubbi:"non sono capace", oppure,  "non ci riesco".
Una volta aveva notato un libro su una panchina di un parco.
Era un libro che un ragazzo aveva lasciato su una panchina per errore.
La piccola Bi immaginò di essere quel libro, che raccoglieva nei suoi fogli, storie fantastiche di luoghi meravigliosi,  di persone gentili e dove tutto sembrava possibile.

Allora disse: ci mettessi tutta una vita ma voglio somigliare a quel libro e voglio pensare che anche io possa racchiudere tante storie bellissime.

Iniziò ad imitare i movimenti che faceva Uanna.
Era molto lenta ma qualche cosa di simile si iniziava a vedere.

Uanna si accorse del libro e, ormai esperta, si trasformò subito in un libro.

Il ragazzo che aveva dimenticato il libro guardando il cielo, vide Uanna a forma di  libro e si mise a sognare ad occhi aperti su quante cose aveva già potuto vedere una nuvola.
E d'improvviso si ricordò che si era dimenticato il suo libro di storie sulla panchina.
Corse a prenderlo e mandò un bacio a Uanna, come per ringraziarla di quel ricordo che le aveva fatto venire in mente.

Uanna era stra felice.
Bi era sempre più triste e si disse tra sé che se tanto non ci riusciva, era inutile sprecare tempo e fatica in qualcosa in cui era incapace.

Diventò di una forma che non aveva forma.
Un pò rotondetta e senza richiamare alcuna forma, bella o brutta che fosse.
Si ripeteva che era triste e la vita era ingiusta: a Uanna aveva dato sicurezza in sé stessa e capacità di essere chi voleva essere.
A lei invece non era dato di avere nulla se non paura di sbagliare e nessuna capacità di diventare chi voleva essere.

Uanna in realtà era triste nel vedere Bi così scoraggiata e malinconica.

Bi si era abituata alla sua vita: in fondo non dover faticare per essere felice aveva i suoi vantaggi, primo fra tutti quello di non faticare, e secondo di non dover più aver paura di sbagliare.

Un giorno Uanna chiamò Bi e le disse: vuoi che ti insegni a diventare una qualche forma che vuoi tu?
Bi la guardò e, arrabbiata, le rispose di no.

Il giorno dopo Uanna ci riprovò ancora:"hai visto quella meravigliosa arancia laggiù?  Ti piacerebbe diventare come lei?
Puoi riuscirci. Io ti aiuto se vuoi".
Bi la riguardò ancora più arrabbiata del giorno prima e le rispose di no.

Bi non era cattiva, né era arrabbiata davvero con Uanna, era solo arrabbiata con sé stessa perché non aveva più il coraggio di riprovare a prendere le forme che le sarebbe piaciuto avere.

Alla fine della settimana, Uanna sconsolata dai tanti tentativi, vide Bi non più arrabbiata ma triste.

Chiamò il vento e si fece portare vicino a Bi.
Poi piano piano assunse la forma di Bi, sembrava un batuffolo di cotone a forma di ala.
Dolcissimo ma incompleto e senza senso.
Lì  si fermò.
Voleva solo stare vicino a Bi.

Bi si accorse che Uanna le era vicina e non le chiedeva più cose che lei non sapeva fare.
A Bi bastava sapere che qualcuno le voleva bene senza che dovesse diventare qualcosa che non sapeva essere.

Sedute vicine sembravano quasi una sola nuvola.
Il sole sopra di loro iniziò a splendere e sulla terra sotto di loro si formò l'ombra della loro forma.

La loro ombra sembrava un grande cuore.

Tutti gli uomini sulla terra si stupirono di quella grande nuvola a forma di cuore che faceva una grande ombra sulla terra a forma di cuore ed alcuni di loro si misero a battere le mani, contenti di quella strana e unica meraviglia.

Uanna fu felice ma aspettò la reazione di Bi.
Bi era sorpresa, emozionata, felice, soddisfatta.

Era la forma più bella che fosse mai stata.
Era così magica perché Uanna era lì con lei.
E allora Uanna le disse di provare a prendere la forma di un cuore da sola e la stessa cosa avrebbe fatto lei: obiettivo era diventare due cuori nel cielo.

Con il coraggio di avere la sia amica Uanna accanto e senza alcun giudizio, provò a prendere la forma di un cuore.
Ci mise un pò di tempo ma nessuno sembrava avere fretta: tutti erano pronti ad aspettare che prendesse la nuova forma, e la stessa Bi non si fece fretta ed usò solo il coraggio.

Divenne un cuore bellissimo e così fece anche Uanna.

Da allora Bi si fece coraggio, dimenticò di  quando non riusciva a diventare la forma che voleva essere, e diventò bravissima.

Assunse la forma di jeans, di un'auto, di un cavallo, di una bellissima bocca e tanto altro.

A volte con Uanna si divertivano a fare nuove forme insieme.

Si dicevano: possiamo essere cosa vogliamo.

Da allora tutti parlano delle due meravigliose amiche nuvole "Uanna Bi".

Fine

Semaforo blu ed i mille colori di Jacopo

Rosso. Stop.
...Bisogna attendere....

Verde. Si parte.

Giallo. Bisogna fermarsi.
Rosso. Stop.
... Bisogna attendere....

Tutto il giorno e la notte, stesso ritmo.

In generale a tutti i semafori andava bene fare quella vita monotona e con quei soli tre colori.

Diciamoci le cose come stanno: un semaforo è già fortunato perché ha un pò di movimento nella sua vita e ha tre colori.

Immaginate il segnale dello STOP. Rosso, bianco e, immobile. Sempre uguale.
Che noia terribile.

C'era un semaforo in fondo alla via, prima della scuola elementare, che sembrava rotto.
Era il semaforo di via Blu n. 5.
Era chiamato semaforo blu.

Quella città era magnifica: ogni via della città si chiamava come un colore e tutte le case e le cose delle vie erano colorate come il nome della via.
In via Blu i palazzi erano tutti blu, mentre le finestre erano di tanti diversi colori, agli alberi veniva messa una sciarpa blu, la strada era colorata di blu, i fiori venivano scelti blu.
Poi c'era la strada viola. Case e palazzi viola, le finestre tutte colorate, strade viola chiaro e fiori viola.

Era bellissimo girare per la città perché quei colori mettevano allegria in ogni momento.

Ma ritorniamo al nostro semaforo che non funziona.

Quel semaforo faceva quello che gli pareva.
Rosso per 3 secondi, poi giallo. Poi ancora rosso. Verde...  1 secondo. Poi giallo 2 minuti.

Che caos per gli automobilisti.

Gli operai del comune erano andati mille volte a controllare e cercare di capire cosa ci fosse di rotto, ma niente, non  erano riusciti a capire il perché di quello strano comportamento.

Gli automobilisti che passavano per quel semaforo raccontano che era come se quel palo con tre luci avesse una vita e si divertisse a prendere in giro gli automobilisti che passavano di là.

"Figuriamoci se un semaforo può avere una vita!!!
Un semaforo... è solo un semaforo" - diceva un automobilista dentro una macchina piccola e color cacc. .. marrone.

Quel briccone di semaforo invece, era tutto speciale,  perché aveva una sua anima tutta particolare.

Si annoiava a far le sequenze di colori tutte uguali e a seconda di come voleva, cambiava  tempi ed illuminava i suoi colori.

Solo tre colori erano troppo pochi per lui per cui, quando il sole si rifletteva sui suoi vetri, cercava di spostarsi un pò per cercare di riflettere colori diversi dai suoi tre rosso-giallo-verde.

Il semaforo si divertita a guardare la faccia degli automobilisti quando lui faceva loro degli scherzi.

Una cosa però c'è da dire: il semaforo di via Blu era sempre attento a non combinare incidenti.
Quindi se c'era tanto traffico faceva il suo dovere e presentava i colori correttamente.
Fortuna che la sua via e quella con cui si intersecava, erano vie con basso traffico.

Una mattina passò di lì in auto un nonnino ed il suo nipotino.

Semaforo blu face uno scherzetto al nonnetto,  fece prima scattare il verde, il nonnetto fece per partire, ed allora il semaforo diventò improvvisamente rosso.

Il nonno frenò di colpo ed il nipotino si spaventò così tanto che iniziò a piangere.

Il nonnino si sentiva in colpa per la paura che aveva fatto provare al nipotino e si mise a consolarlo con tutta la dolcezza del mondo.
Lo abbracciava, gli accarezzava i capelli, lo rassicurava e gli sussurrava:"Jacopo ora è tutto passato, calmati".
Il nipotino Jacopo si calmò,  rassicurato dalle dolci attenzioni del nonno.

Il semaforo blu che durante lo scherzo aveva riso tanto per il divertimento, vedendo la preoccupazione del nonno ed il pianto del nipotino, iniziò a sentirsi triste e anche un pò sciocco.

Una volta calmato, il nipotino disse: questo semaforo è inutile!
Un semaforo serve ad aiutare le persone a capire quando è giusto andare, non a confonderle e spaventarle.

Allora il semaforo, un pò offeso dalle parole del bambino, parlò, e disse:
"caro bambino tu mi dici che devo essere utile?  È vero. Ma tu non sai cosa significa rimanere qui impalato tutto il giorno, presentare sempre la sessa sequenza di colori.
E poi sempre gli stessi colori!

Io vorrei essere libero di cambiare ogni giorno colori e sequenza.

Il bambino lo ascoltò senza battere ciglio.
Poi se ne andò via.
Ma era rimasto colpito dalla storia di semaforo blu.

Passarono due giorni ed il bambino non faceva altro che pensare alla tristezza per semaforo blu di non poter vedere tanti colori come lui.
Dall'altra parte della città, semaforo blu, colpito dal fatto che il bimbo gli aveva detto di essere inutile, aveva preso a funzionare bene.
Anzi decise che sarebbe stato il miglior semaforo, per cui se vedeva in attesa donne incinta o con bambini, cercava di farle passare subito.
Stessa cosa con i nonni, con le ambulanze, pompieri, polizia e carabinieri.

Tutti si stupivano di quanto semaforo blu fosse diventato così bravo ed utile.

Ma quando non c'era nessuno, semaforo blu faceva delle coreografie con le sue luci, tanto che se lo si osservava, qualcuno poteva giurare che semaforo blu danzasse e si muovesse, tanto era il ritmo a cui muoveva le sue tre luci colorate.
 
Semaforo blu era orgoglioso di essere utile ma gli rimaneva la tristezza di soli tre colori da mostrare.

La storia del semaforo briccone ma diventato bravissimo si diffuse in ogni angolo della città a colori.
In ogni bar, barbiere, parrucchiera,  ufficio, supermercato, negozio e casa, ormai se ne parlava.
Anche la TV locale, "TV Arcobaleno", fece un servizio che commosse tutti i cittadini della città colorata.

Anche Jacopo ne sentì parlare e si emozionò di gioia sentendo che quel bel semaforo aveva ascoltato le sue parole.

Decise che doveva fare qualcosa per lui.

Idea!!!

Aveva visto in un negozio delle lampadine speciali che potevano cambiare colore.
Inoltre voleva che il semaforo blu diventasse tutto colorato e che la musica accompagnasse i suoi spettacoli di luci.

Si fece accompagnare dal nonno in un negozio di quelle lampadine speciali e poi in negozio di stoffe.
Poi prese la sua radio e, accompagnato dal nonno, andò dal semaforo blu e gli disse:"tu sei speciale. Sai come aiutare le persone che ne hanno più bisogno ma sai anche che la tua felicità è importante quanto aiutare gli altri.
E allora eccoti delle lampadine che possono diventare di mille colori diversi.
E poi ti ho portato alcune bandierine di stoffa per vestirti di colori. Quando il vento soffia o le macchine sfrecciano vicino a te le bandierine si alzeranno vestendoti di colori.
Poi ti ho portato la mia radio.
È un pò vecchia ma potrai ascoltare musica da mattina a sera.

Semaforo blu si commosse.
Era così bello con quelle luci, la musica e quelle tre bandierine colorate.
Si sentiva il semaforo più bello del mondo.

Nel giro di poche ore anche il gesto di Jacopo fu sulla bocca di tutti.
E molti si misero ad imitarlo.

Nel giro di poco, semaforo blu fu vestito di mille bandierine tutte colorate e con le sue lampadine colorate faceva spettacoli bellissimi agli automobilisti in attesa della luce verde per passare.

Il sindaco della città colorata fece mettere anche delle casse di amplificazione del volume attaccate alla radio di Jacopo,  così che la musica si sentisse meglio e tutti potessero godere di un momento di gioia in attesa del verde per ripartire.

Semaforo blu ha anche cambiato nome. Ora lo chiamano semaforo "della felicità" e regala mille colori e suoni, e delizia ogni istante chi passa per via Blu.

Fine.

sabato 15 agosto 2015

Il regno dove si balla e si canta

C'era una volta una principessa.
Si chiamava Anna.
Era la più bella principessa di tutto il mondo ma questa bellezza si poteva vedere solo quando Anna sorrideva.

Purtroppo però la principessa non sorrideva quasi mai. Era la principessa più bella del mondo ma anche la più triste del mondo.

Il re aveva provato in tutti i modi a farla sorridere. Aveva speso i suoi soldi in giochi, giocolieri, e giullari.
Niente al mondo sembrava riuscisse a far sorridere la principessa Anna e la sua bellezza sembrava sfiorire ogni giorno di più.

Il re aveva quasi speso tutti i suoi soldi per provare a far sorridere la principessa.

Ormai aveva quasi perso la speranza di rivederla bella e sorridente.

Un giorno passò sotto il castello un principe bellissimo.
Il principe Paolo aveva sentito di una principessa bellissima che nessuno riusciva a far sorridere.
Decise che avrebbe provato con il suo fascino a far sorridere di gioia la principessa.

Bussò alle porte del castello.
Il grande portone si aprì ed entrò nel castello con il suo meraviglioso cavallo bianco.

In pochi minuti si era sparsa la voce in ogni sala del castello che il bellissimo principe Paolo era arrivato a castello per far sorridere la principessa.

Il re fu contento di questa visita inaspettata, anche perché il principe era molto ricco, mentre il re era ormai al limite della povertà.

Diedero una grande festa in onore del principe.
Tutti erano bellissimi.
Per l'occasione venne chiamata anche un'orchestra per accompagnare il ballo.
Quando la principessa entrò nel salone della festa, la musica iniziò, il principe le andò incontro e, avvenne una magia, la principessa iniziò a sorridere.

Il principe,  il re e tutti, pensarono che fosse stata la vista del principe a fare il miracolo.

Il principe la invitò a ballare e, come per magia, la principessa continuò a sorridere e la sua bellezza a risplendere.

Quando il ballo terminò il sorriso della principessa si spense.
Il principe non capiva.
Tutti rimasero delusi.

Non era il principe a far sorridere la principessa.

Allora il principe offeso, corse fuori dal salone, prese il suo cavallo è partì correndo lontano.

Il re per diminuire la tensione e la delusione chiese all'orchestra di riprendere a suonare.

Un giovane servitore, Francesco, si accorse che la principessa stava nuovamente sorridendo e sembrava felice.
Il servitore era segretamente innamorato della principessa ma, cosa ci poteva fare, lui era solo un povero servo e non poteva certo ambire a sposare la principessa.

La festa terminò e tutti tornarono alla propria vita e la principessa alla sua tristezza.

Il giorno dopo Francesco passò nel giardino dove Anna faceva le sue passeggiate e si mise a cantare:"canto una canzone per far felice la mia principessa. Se lei vorrà potrà cantare con me".

La principessa estasiata da quella voce e musica si mise a sorridere, ballare e cantare:"grazie per la musica e questa canzone che stai cantando...".

La principessa ballava felice e sorrideva in tutta la sua bellezza.

Appena però Francesco se ne andò via, la principessa smise di sorridere.

Francesco tornò il giorno dopo e nei giorni successivi e la storia si ripeteva.

Francesco era sempre più innamorato di Anna ed era contento di farla felice.

Anche Anna aveva iniziato a sentire nostalgia di quel giovane e della gioia che provava quando cantava per lei.

Francesco voleva parlare con il re e provare a chiedere in sposa la bella Anna.
L'avrebbe resa felice ogni giorno.
Si fece coraggio ed andò a parlare con il re.

"Sire - disse Francesco - la bella principessa Anna è triste perché non c'è musica nella sua vita.
Anna ha bisogno di ballare e di sentirsi libera di muoversi tra le note della musica.
L'ho osservata e solo la musica può renderla una persona felice".

Il re non volle credere ad un servo che si credeva più esperto di medici e sapienti.

La principessa ricadde nel silenzio e nella tristezza.

Francesco che non sopportava di vederla triste, non appena poteva, andava sotto le sue finestre per cantare per lei.

Dalla finestra la vedeva poi ballare e sorridere felice.

Povero Francesco, non poteva tutto il giorno stare lì a cantare per la principessa, per cui decise di pagare  dei musicisti per suonare ogni giorno sotto le finestre della principessa.

Cosi fece e da allora la principessa fu felice e sorridente.

Ogni giorno la principessa era felice ma Francesco sempre più povero perché doveva pagare i musicisti per la principessa.

Il re notò la felicità della figlia e chiese ai suoi soldati di indagare su quella piccola orchestra che suonava ogni giorno sotto la finestra della principessa.

I soldati scoprirono che l'ormai povero Francesco aveva usato tutti i suoi soldi per far sorridere la principessa Anna di cui era tanto innamorato.

Tornarono dal re e gli riferirono tutto.

Il re si pentì di non aver ascoltato il giovane Francesco.

Lo mandò a chiamare per ringraziarlo.
Il giovane Francesco si fece coraggio e disse:"Sire io sono innamorato di sua figlia. Prometto di provare a farla felice ogni giorno della mia vita.
Se non avrò più soldi per un orchestra, canterò per lei".

Il re si commosse di fronte a tanto amore e acconsentì alle nozze, sempre che la principessa lo avesse voluto come sposo.

Il principe fece la sua dichiarazione d'amore alla principessa, cantando.

La principessa, ormai segretamente innamorata, fu felice di accettare la proposta del servitore Francesco.

Il re decise che nel suo regno ogni giorno ci sarebbe stata musica e ballo.
Questo per far felice la sua principessa ma anche il suo popolo.

Purtroppo però sia il re che Francesco erano diventati poveri, non potevano pagare i musicisti ogni giorno.

Alla principessa venne un'idea e disse:"organizziamo delle feste e facciamo in modo che la gente di ogni reame venga qui alle feste e paghi per entrare".

Fu un'idea fantastica.
Gente da ogni paese accorse per godere del regno dove ogni giorno c'è musica e si balla, e per vedere la bellezza della principessa felice ed innamorata.

Francesco ed Anna si sposarono tra canti, balli e felicità in tutto il regno.

E vissero felici e contenti.

Fine

mercoledì 12 agosto 2015

Sarà e Dicosì

Un giorno Sara fece volare il pallone nel giardino del vicino, il signor Tassa.
Anzi per essere precisi, Sara fece ri-volare il pallone nel giardino del signor Tassa.

È così.  Non era la prima volta che accadeva.
Il signor Tassa non amava molto i bambini: non è che proprio non volesse loro bene, ma non sopportava molto i loro schiamazzi, il disordine che lasciavano in giro ed il fatto che non sempre mantenevano la parola data.

Quella sera il signor Tassa era alla finestra proprio mentre il pallone di Sara finiva nel suo amato e curato giardino, e proprio sopra i suoi fiori.

Nel frattempo Sara era timorosa. Non sapeva se andare a prendere il pallone rischiando una ramanzina, oppure dire ai suoi genitori che lo aveva perso.

Ad un certo punto il signor Tassa uscì arrabbiattissimo da casa sua e si mise a gridare, minacciando che avrebbe bucato il pallone se non si fosse fatto avanti il colpevole.

Gridava così forte che la signora Filù si affacciò dalla porta di casa sua. Questo non sarebbe tanto strano se non fosse che la signora Filù ed il signor Tassa vivono in città diverse!

Sara decise di sfidare il signor Tassa e si fece avanti coraggiosa.

"Sono stata io" - disse.
Il signor Tassa la squadrò da capo a piedi, mentre la rabbia gli faceva venire la faccia rossissima e con una smorfia in viso molto antipatica. 

"Non voglio più vedere un bambino giocare in questa città".
Voglio silenzio, pace e tutto in ordine" - gridò il signor Tassa.

Poi prese il pallone e lo bucò, gridando: "se trovo un bambino giocare in città gli rompo tutti i giochi".

Una cosa importante va detta: il Signor Tassa era il sindaco della città di Dicosì.

La città si chiamava così perché un gruppo di adulti una volta avevano deciso che lì ci avrebbero abitato solo persone ubbidienti.
E da allora fu così, meno per i bambini che spesso non erano proprio l'esempio dell'obbedienza.

Sara era molto impaurita dalle grida e dalle minacce del signor Tassa.

Sgattaiolò triste verso casa, lanciando calci ai poveri sassi che incontrava sul suo cammino.

Doveva inventarsi qualcosa.
La regola che nessun bambino potesse giocare in città non poteva diventate legge di Dicosì.

E se si fosse sparsa la voce, magari altre città avrebbero messo il divieto di gioco per i bambini.

Doveva fare qualcosa.

Tornando a casa, senza volerlo, gli capitò di guardare nel giardino di un loro vicino.
Una mamma stava consolando il figlio urlante che era caduto per terra e si era sbucciato un ginocchio, mentre il papà giocava con il fratellino più grande.
Il nonno, seduto su una sedia di vimini un pò rovinata dall'usura, urlava di fare silenzio perché non riusciva a dormire.

Sara pensò: il nonno ha ragione a voler dormire ma anche gli altri a fare quello che fanno.
E continuò il suo rientro verso casa.

Ovunque si sentivano risate di bimbi e piccole urla di divertimento o, a volte, pianti dei più piccoli.

A Sara piaceva quel suono di bambini e capiva che era diffuso un pò ovunque in città, rallegrando qualcuno ed infastidendo altri.

Arrivò a casa con il broncio e non disse nulla ai suoi genitori.
Non mangiò nemmeno la cena quel giorno e se ne andò a letto, mentre sua mamma e papà la guardavano innamorati di lei e preoccupati.

Passò la notte.
La mattina Sara si svegliò e, quando uscì per giocare, trovò la città tappezzata di cartelli con scritto "Divieto di gioco per i bambini".

Qualcuno provò a dire che non era giusto ma nella città di Dicosì tutti erano abituati a obbedire.

Sara era disperata e non sapeva cosa fare. Si mise seduta su un muretto, prese una manciata di sassi, ed iniziò a lanciarli ad un metro da lei.

Passò il signor Vedotutto e le disse che stava violando la legge perché stava giocando.
Per oggi non l'avrebbe denunciata ma se l'avesse rivista a giocare....
Era molto probabile che il signor Vedotutto la vedesse ancora giocare.

Sara non ne poteva più. Era una prigione e non una città.

Camminando vide un gruppo di bambini silenziosi, fermi ed annoiati. Avevano il pallone in mano ma non osavano farlo rimbalzare per terra.

Poco più in là vide un papà che di nascosto dietro ad una siepe, giocava con il figlio. Tutto sotto voce.

Sara era demoralizzata.

Di lì a poco sarebbe diventato il posto più noioso della terra.

Pensava:"noi bambini facciamo rumore forse, ma siamo la gioia dei grandi. Ma come facciamo ad essere felici senza giocare? E come facciamo ad essere la gioia dei grandi se siamo tristi?".

Le venne una fantastica idea. Come aveva fatto a non pensarci prima?

Il giorno seguente avrebbe dato inizio al suo piano. La sera a cena mangiò di gusto e giocò sottovoce con i nonni osservando la gioia di tutti.

La mattina seguente si svegliò.
Iniziò a girare per tutte le case e a parlare con ogni bambino della città.

Appuntamento al bosco dietro al fiume  (dove curva prima di scomparire) alle 15.00.
Tutti con un pò di cibo,  qualche gioco e caramelle e dolci vari.
Si raccomandò di non dire nulla a nessuno e portare con sé ogni bambino, con una qualsiasi scusa.

Sara mangiò velocemente e poi con una scusa prese uno zainetto e ci infilò giochi,  caramelle e dolci vari.

Alle 15, nel bosco dietro al fiume si erano radunati tutti i bimbi della città.

Dicosì sembrava deserta. Silenziosa. Nessun pianto.
Nessuno schiamazzo.
Nessun bimbo in giro a sorridere.
Le case stranamente silenziose.

Il signor Tassa girava per la città finalmente felice e soddisfatto.

Dopo qualche tempo, oltre alla preoccupazione dei genitori, la città iniziò a sembrare senza anima, senza gioia, vuota e troppo silenziosa.
Tutto era in ordine.
I giochi riposti nelle scatole e non usati.

La città sembrava deserta.
I grandi andavano in giro con le orecchie piene di silenzio ed i loro occhi erano tristi, ed i loro passi stanchi.

Un posto senza bambini che lo rendono colorato e pieno di suoni, è invivibile.

Nel frattempo, al bosco-dietro-al-fiume, i bambini stavano giocando tra loro.
Ma dopo un pò non c'erano più regole, non sapevano inventarsi altri giochi e poi non c'era nessuno che sorridesse ai loro successi e fosse orgoglioso di loro.
Dopo un pò anche i bimbi diventarono tristi perché senza "i grandi" era tutto meno divertente.

La città era un deserto silenzioso.

Il bosco-dietro-al-fiume era un posto pieno di giochi, dolci e caramelle,  ma noiosissimo.

Il signor Tassa, pur contento del suo giardino "senza palle di bambini finite sopra i suoi fiori", e pur felice per i suoi pisolini pomeridiani non più disturbati dagli schiamazzi,  si annoiava a  morte perché non aveva più nessuno da sgridare e tutto quel silenzio rendeva tristi i cittadini della sua città.

Allora radunò tutti gli adulti e decise di abolire la legge contro il gioco, ma i bambini dovevano fare silenzio quando gli adulti o i bambini più piccoli avrebbero riposato.
E poi le cose degli altri dovevamo essere rispettate, e quindi anche il suo bel giardino.

Decise di creare un grande parco in città pieno di giochi così che i bambini ed i grandi potessero incontrarsi là senza la preoccupazione di disturbare.

Ma ora dovevano trovare i bambini.

Nel frattempo al bosco-dietro-al-fiume era diventato tutto noiosissimo, così Sara propose ai bambini di provare a parlare con i grandi in un incontro.
Ai grandi andava detto che:
- i bimbi non possono stare senza giocare e divertirsi
- i bimbi possono imparare ad essere più ordinati, più attenti al silenzio e alle regole che danno i genitori
- i bimbi si divertono meno senza i grandi.

Sara decise di tornare verso il paese come portavoce dei bambini.

Nel frattempo i grandi avevano iniziato le ricerche ed il papà e la mamma di Sara avevano suggerito di andare a vedere al bosco-dietro-al-fiume, perché era un posto bellissimo dove ogni bambino avrebbe voluto giocare.
La preoccupazione dei grandi era molto forte.

Come per magia, papà, mamma e Sara si incontrarono a metà strada.
Si abbracciarono a lungo felici per essersi ritrovati.

Sara disse loro delle regole decise dai bambini e papà e mamma le raccontarono cosa aveva proposto il signor Tassa.

Sara, felice come non mai, corse ad avvertire tutti i suoi piccoli amici.

Tornarono tutti insieme in città,  con le loro risate, voglia di giocare e riabbracciare le loro famiglie.

Dicosì riprese vita ed i suoi cittadini decisero di cambiare nome alla città.
D'ora in poi si sarebbe chiamata: Vivaibambini.

Fine

Gina ed il suo amico Vento

"Oh oh.
Mi sento un pò "staccata".

Oh oh.
Sento che sono un pò troppo ballerina.

Oh oh.
Non è che...
No, non può essere...
E se...

Ohhhhhhh ohhhhhhh.
Penso che mi sto...
....staccandooooooo.

Ma ora?
Ok ripartiamo.
Prima di tutto bisogna presentarsi.
Tanto piacere, sono Gina, la fogliolina ballerina.
Tutti sanno che non so stare ferma.
Appena un bambino respira e muove un pò di aria io ne approfitto subito per fare due passi di danza.
Non vi dico poi quando c'è vento.
Uuuuuuu festa!!!
La musica del vento ed il movimento che mi regala, mi fa ballare tutto il tempo.

Le altre foglie sono un pò infastidite dal vento e, a dire il vero, anche dal mio movimento.

La cosa bella sapete qual è?
Che se il vento arriva, tutte devono muoversi, contente o meno che siano.
Allora io dico,  già che ci sono, invece che arrabbiarsi, non potrebbero godersi un pò quel momento!?
Che tonte che sono.
Ma se sta bene a loro stare imbromciate mentre il vento le muove,  è una loro scelta.
E invece io rido, mi diverto, mi scuoto,  e canto anche.

Si, certo che canto.
Non avete mai sentito il suono delle foglie quando c'è il vento?
Ecco il nostro canto si chiama fruscio.
Per voi che non siete foglie il significato forse non è chiaro, ma per me - che sono foglia - è un momento di pura felicità.

Comunque è successo qualcosa di strano ultimamente.
È autunno. Sono diventata improvvisamente gialla.
Boh. Non so perché.
E mentre ero lì che ballavo con il vento, ho sentito che iniziavo ad essere meno "attaccata" al ramo.
Avete presente quando i denti dei bambini iniziano a dondolare?
Ecco mi sembrava di dondolare ed essere meno "attaccata".

Ora penso di avere un problema.
Sentivo dire da altre foglie che  cadendo poi tutto finisce.
Invece io sono qui, per terra, e.... parlo con voi.
Ma ora cosa succede?
Mah, io aspetto"

Passarono alcuni giorni e sopra Gina caddero altre foglie.

Quando iniziava un pò a perdere le speranze e a morire di noia, sentì un suono familiare.
E poi arrivsva un profumo di posti "lontani" e quel profumo, "lo porta solo il vento", disse Gina.

Evviva.
Si mise ad odorare quei profumi che il vento stava portando con sé e che diventavano sempre più intensi.
Che gioia stava provando.

"Anche se non potrò ballare - disse Gina - posso inebriarmi di questi profumi di posti lontani.
Questo sembra odore di pino. Verrà dalla montagna.
Questo è odore di salsedine, e allora è passato anche dal mare.
Questo è odore di... pizza? !?!?!
Sarà passato anche vicino ad una pizzeria.
Questo è odore di pepe verde.
Quello che mangia sempre quella signora che ha quei quattro bimbi belli.

Quante storie porta il vento".

Nonostante tutto Gina era un pochino triste perché sapeva che, una volta caduta, non avrebbe più ballato libera con il vento.

Ad un tratto il vento si fece più forte.
Tutto attorno a Gina stava tremando.
Tutto scalpitava.

E finalmente una folata di vento fece volare in alto Gina e le altre foglie.
Tutte ridevano ed erano contente.
Anche quelle che quando erano attaccate all'albero si lamentavano.

"Che bello. Oh che meraviglia volare così in alto,  senza limiti, senza sapere dove andare, immersa negli odori lontani.
Ehiiii ma quello laggiù è un fiume Ohhhhhhh non ne avevo mai visto uno. Com'è lungo.
Non finisce più.
Guardate è pieno di bambini che giocano dentro.
Ops, sono scivolati. Per fortuna non si sono fatti nulla.

Ohhhhhhh ma il fiume cade dalla montagna. Sarà mica una cascata?!

Ehi vento portami al mare".

Il vento accolse la richiesta di Gina perché lei era entusiasta di ogni cosa e la sua felicità veniva trasmessa a tutti.

E fu così che il Vento e Gina divennero grandi amici e ancora oggi girano per il mondo per portare odori e vedere cose nuove.

Se domani vedrete una fogliolina volare con il vento, chissà che non sia Gina.

Fine.

Giacomino, signor Tonno e Pesce Spada

C'era una volta un pesciolino di nome Giacomino.
Nuotava nel mare libero e felice.
Quando incontrava altri pesci, cortesemente si inchinava per salutarli.
Quando incontrava delle conchiglie belle si fermava per fare loro dei complimenti.

Era sempre gentile e sorridente con tutti ed era molto amato nel pezzetto di mare in cui viveva.

Un giorno, incuriosito da una strana luce, si avventurò verso il fondo del mare.
Ma più scendeva e più quella luce si affievoliva (diventava meno visibile).

Passava di lì un tonno e allora Giacomino chiese:"scusi signor tonno.
Molto piacere, io mi chiamo Giacomino.
Vorrebbe aiutarmi?
Vede quella luce bellissima che attraversa l'acqua del mare?
Saprebbe dirmi da dove viene?"

Il Tonno rispose: "ragazzo mio non lo so e non mi interessa. Ora ho fretta. Non mi scocciare".

Giacomino non si perse d'animo. Salutò il signor Tonno con gentilezza, anche se in realtà quella risposta lo aveva fatto un pò rimanere male.

Ma giacomino era fortunato perché proprio in quel momento stava passando un pesce spada.

Ogni volta che quella luce illuminava il pesce spada, tutto diventava più luminoso ed i raggi riflessi illuminavano alghe bellissime e coralli rossi magnifici.

Giacomino chiese al pesce spada:"buonasera signor pesce spada. Io mi chiamo Giacomino.
Sono rimasto sorpreso dalla bellezza della luce che illumina questo pezzetto di mare.
E non ho potuto non notare che se la luce le colpisce la sua spada, altra luce si irradia, dando colore al fondo del mare".

Il pesce spada non si era accorto di quella piccola magia.
Solo ora che giacomino glielo aveva fatto notare,  si rendeva conto di tanta bellezza.
Ma non sapeva dare un nome a quella luce.
Era solo bella.

Il signor tonno, che in realtà era rimasto incuriosito dall'incontro con Giacomino, decise di scoprire come si chiamasse quella luce e anche da dove venisse.

Vide lontana una barca di pescatori e, pur avendo un pò di paura, si avvicinò alla barca, stando attento a non rimanere imbrigliato tra le reti dei pescatori.

Avvicinandosi sentiva le voci dei pescatori che parlavano della meravigliosa luce di quella sera.
Ma non sentiva bene tutte le parole.
Si avvicinò ancora di più e capì finalmente da dove veniva quella bella luce che sorprendeva sia gli uomini sulla terra che i pesci del mare: la luce si chiama Luna e illumina ogni cosa quando è notte.

Quando signor Tonno stava per tornare indietro, i pescatori tirarono su le reti e signor Tonno rimase imbrigliato.

Si mise a gridare così forte che Giacomino e pesce Spada sentirono la sua richiesta di aiuto.

Allora Giacomino e pesce spada corsero verso le reti ma non sapevano come aiutare signor tonno.
A Giacomino venne un'idea: pesce spada poteva tagliare un pò la rete e far uscire signor Tonno e gli altri pesci imprigionati.

Pesce spada si diede da fare ed in pochi minuti liberò signor Tonno e tutti gli altri.

Erano tutti felici per quella liberazione e signor Tonno si scusò con Giacomino e ringraziò pesce spada.

Giacomino però chiese : "perché hai rischiato e sei andato vicino alle reti?"

Signor Tonno rispose: "la luce era troppo bella per non sapere cosa fosse. Si chiama Luna ed è capace di illuminare la terra e anche un pò il mare.
È bella ed è per tutti bella così.

La luna poi ci ha permesso di incontrarci. Questo è un altro regalo che ci ha fatto".

I tre pesci si abbracciarono e andarono a festeggiare in un posto dove le alghe da mangiare erano buonissime.

Fine.