mercoledì 12 agosto 2015

Sarà e Dicosì

Un giorno Sara fece volare il pallone nel giardino del vicino, il signor Tassa.
Anzi per essere precisi, Sara fece ri-volare il pallone nel giardino del signor Tassa.

È così.  Non era la prima volta che accadeva.
Il signor Tassa non amava molto i bambini: non è che proprio non volesse loro bene, ma non sopportava molto i loro schiamazzi, il disordine che lasciavano in giro ed il fatto che non sempre mantenevano la parola data.

Quella sera il signor Tassa era alla finestra proprio mentre il pallone di Sara finiva nel suo amato e curato giardino, e proprio sopra i suoi fiori.

Nel frattempo Sara era timorosa. Non sapeva se andare a prendere il pallone rischiando una ramanzina, oppure dire ai suoi genitori che lo aveva perso.

Ad un certo punto il signor Tassa uscì arrabbiattissimo da casa sua e si mise a gridare, minacciando che avrebbe bucato il pallone se non si fosse fatto avanti il colpevole.

Gridava così forte che la signora Filù si affacciò dalla porta di casa sua. Questo non sarebbe tanto strano se non fosse che la signora Filù ed il signor Tassa vivono in città diverse!

Sara decise di sfidare il signor Tassa e si fece avanti coraggiosa.

"Sono stata io" - disse.
Il signor Tassa la squadrò da capo a piedi, mentre la rabbia gli faceva venire la faccia rossissima e con una smorfia in viso molto antipatica. 

"Non voglio più vedere un bambino giocare in questa città".
Voglio silenzio, pace e tutto in ordine" - gridò il signor Tassa.

Poi prese il pallone e lo bucò, gridando: "se trovo un bambino giocare in città gli rompo tutti i giochi".

Una cosa importante va detta: il Signor Tassa era il sindaco della città di Dicosì.

La città si chiamava così perché un gruppo di adulti una volta avevano deciso che lì ci avrebbero abitato solo persone ubbidienti.
E da allora fu così, meno per i bambini che spesso non erano proprio l'esempio dell'obbedienza.

Sara era molto impaurita dalle grida e dalle minacce del signor Tassa.

Sgattaiolò triste verso casa, lanciando calci ai poveri sassi che incontrava sul suo cammino.

Doveva inventarsi qualcosa.
La regola che nessun bambino potesse giocare in città non poteva diventate legge di Dicosì.

E se si fosse sparsa la voce, magari altre città avrebbero messo il divieto di gioco per i bambini.

Doveva fare qualcosa.

Tornando a casa, senza volerlo, gli capitò di guardare nel giardino di un loro vicino.
Una mamma stava consolando il figlio urlante che era caduto per terra e si era sbucciato un ginocchio, mentre il papà giocava con il fratellino più grande.
Il nonno, seduto su una sedia di vimini un pò rovinata dall'usura, urlava di fare silenzio perché non riusciva a dormire.

Sara pensò: il nonno ha ragione a voler dormire ma anche gli altri a fare quello che fanno.
E continuò il suo rientro verso casa.

Ovunque si sentivano risate di bimbi e piccole urla di divertimento o, a volte, pianti dei più piccoli.

A Sara piaceva quel suono di bambini e capiva che era diffuso un pò ovunque in città, rallegrando qualcuno ed infastidendo altri.

Arrivò a casa con il broncio e non disse nulla ai suoi genitori.
Non mangiò nemmeno la cena quel giorno e se ne andò a letto, mentre sua mamma e papà la guardavano innamorati di lei e preoccupati.

Passò la notte.
La mattina Sara si svegliò e, quando uscì per giocare, trovò la città tappezzata di cartelli con scritto "Divieto di gioco per i bambini".

Qualcuno provò a dire che non era giusto ma nella città di Dicosì tutti erano abituati a obbedire.

Sara era disperata e non sapeva cosa fare. Si mise seduta su un muretto, prese una manciata di sassi, ed iniziò a lanciarli ad un metro da lei.

Passò il signor Vedotutto e le disse che stava violando la legge perché stava giocando.
Per oggi non l'avrebbe denunciata ma se l'avesse rivista a giocare....
Era molto probabile che il signor Vedotutto la vedesse ancora giocare.

Sara non ne poteva più. Era una prigione e non una città.

Camminando vide un gruppo di bambini silenziosi, fermi ed annoiati. Avevano il pallone in mano ma non osavano farlo rimbalzare per terra.

Poco più in là vide un papà che di nascosto dietro ad una siepe, giocava con il figlio. Tutto sotto voce.

Sara era demoralizzata.

Di lì a poco sarebbe diventato il posto più noioso della terra.

Pensava:"noi bambini facciamo rumore forse, ma siamo la gioia dei grandi. Ma come facciamo ad essere felici senza giocare? E come facciamo ad essere la gioia dei grandi se siamo tristi?".

Le venne una fantastica idea. Come aveva fatto a non pensarci prima?

Il giorno seguente avrebbe dato inizio al suo piano. La sera a cena mangiò di gusto e giocò sottovoce con i nonni osservando la gioia di tutti.

La mattina seguente si svegliò.
Iniziò a girare per tutte le case e a parlare con ogni bambino della città.

Appuntamento al bosco dietro al fiume  (dove curva prima di scomparire) alle 15.00.
Tutti con un pò di cibo,  qualche gioco e caramelle e dolci vari.
Si raccomandò di non dire nulla a nessuno e portare con sé ogni bambino, con una qualsiasi scusa.

Sara mangiò velocemente e poi con una scusa prese uno zainetto e ci infilò giochi,  caramelle e dolci vari.

Alle 15, nel bosco dietro al fiume si erano radunati tutti i bimbi della città.

Dicosì sembrava deserta. Silenziosa. Nessun pianto.
Nessuno schiamazzo.
Nessun bimbo in giro a sorridere.
Le case stranamente silenziose.

Il signor Tassa girava per la città finalmente felice e soddisfatto.

Dopo qualche tempo, oltre alla preoccupazione dei genitori, la città iniziò a sembrare senza anima, senza gioia, vuota e troppo silenziosa.
Tutto era in ordine.
I giochi riposti nelle scatole e non usati.

La città sembrava deserta.
I grandi andavano in giro con le orecchie piene di silenzio ed i loro occhi erano tristi, ed i loro passi stanchi.

Un posto senza bambini che lo rendono colorato e pieno di suoni, è invivibile.

Nel frattempo, al bosco-dietro-al-fiume, i bambini stavano giocando tra loro.
Ma dopo un pò non c'erano più regole, non sapevano inventarsi altri giochi e poi non c'era nessuno che sorridesse ai loro successi e fosse orgoglioso di loro.
Dopo un pò anche i bimbi diventarono tristi perché senza "i grandi" era tutto meno divertente.

La città era un deserto silenzioso.

Il bosco-dietro-al-fiume era un posto pieno di giochi, dolci e caramelle,  ma noiosissimo.

Il signor Tassa, pur contento del suo giardino "senza palle di bambini finite sopra i suoi fiori", e pur felice per i suoi pisolini pomeridiani non più disturbati dagli schiamazzi,  si annoiava a  morte perché non aveva più nessuno da sgridare e tutto quel silenzio rendeva tristi i cittadini della sua città.

Allora radunò tutti gli adulti e decise di abolire la legge contro il gioco, ma i bambini dovevano fare silenzio quando gli adulti o i bambini più piccoli avrebbero riposato.
E poi le cose degli altri dovevamo essere rispettate, e quindi anche il suo bel giardino.

Decise di creare un grande parco in città pieno di giochi così che i bambini ed i grandi potessero incontrarsi là senza la preoccupazione di disturbare.

Ma ora dovevano trovare i bambini.

Nel frattempo al bosco-dietro-al-fiume era diventato tutto noiosissimo, così Sara propose ai bambini di provare a parlare con i grandi in un incontro.
Ai grandi andava detto che:
- i bimbi non possono stare senza giocare e divertirsi
- i bimbi possono imparare ad essere più ordinati, più attenti al silenzio e alle regole che danno i genitori
- i bimbi si divertono meno senza i grandi.

Sara decise di tornare verso il paese come portavoce dei bambini.

Nel frattempo i grandi avevano iniziato le ricerche ed il papà e la mamma di Sara avevano suggerito di andare a vedere al bosco-dietro-al-fiume, perché era un posto bellissimo dove ogni bambino avrebbe voluto giocare.
La preoccupazione dei grandi era molto forte.

Come per magia, papà, mamma e Sara si incontrarono a metà strada.
Si abbracciarono a lungo felici per essersi ritrovati.

Sara disse loro delle regole decise dai bambini e papà e mamma le raccontarono cosa aveva proposto il signor Tassa.

Sara, felice come non mai, corse ad avvertire tutti i suoi piccoli amici.

Tornarono tutti insieme in città,  con le loro risate, voglia di giocare e riabbracciare le loro famiglie.

Dicosì riprese vita ed i suoi cittadini decisero di cambiare nome alla città.
D'ora in poi si sarebbe chiamata: Vivaibambini.

Fine

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